Si andrà verso un fondo europeo per la ricostruzione post pandemia?


Coronavirus Covid-19

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La scorsa settimana, l’Eurogruppo dei ministri delle Finanze della zona euro, avendo riconosciuto che nessuno è responsabile della crisi causata dal COVID-19, ha concordato un accordo per mitigare le conseguenze economiche. L’accordo include 25 miliardi di euro di nuovi finanziamenti per la Banca europea per gli investimenti, 250 miliardi per il meccanismo europeo di stabilità (MES) e 100 miliardi per la creazione di un nuovo strumento attraverso il quale la Commissione europea aiuterà gli Stati membri a gestire le loro incombenti crisi occupazionali. Il pacchetto ammonta ad una somma di circa 500 miliardi di euro di prestiti.

A seguito del nuovo accordo, se uno Stato membro dell’Eurozona incontra difficoltà nel finanziare gli enormi esborsi necessari per sostenere la sua economia durante il periodo di blocco, avrà a disposizione una serie di opzioni. Potrebbe attingere al nuovo grande programma di acquisto di emergenza pandemica della Banca centrale europea (PEPP) o potrebbe richiedere un prestito al MES, vincolato adesso ad un minor numero di condizioni.

Tuttavia, sebbene queste opzioni forniscano un sostanziale sostegno di liquidità agli Stati membri, non affrontano la questione del crescente debito, che già minaccia di ostacolare la crescita per decenni a venire in molti paesi, tra cui l’Italia e la Spagna. Questo problema critico dovrebbe invece essere affrontato non attraverso la mutualizzazione dei debiti passati o futuri, ma con uno strumento comune che consenta all’Unione europea stessa di sostenere il debito necessario per finanziare un massiccio programma di investimenti e recupero.

Per garantire una ripresa economica dopo la pandemia, bisogna abbandonare l’idea che i prestiti europei dovrebbero essere utilizzati solo per farne di nuovi. L’opzione sarebbe una vera spesa finanziata attraverso prestiti europei. La Commissione dovrebbe emettere rendite consolidate per finanziare un pacchetto di ricostruzione economica da 1 trilione di euro. Tali strumenti costituirebbero un investimento sicuro nel futuro dell’UE nel suo insieme, che è esattamente il messaggio che l’Europa deve inviare adesso.

Con queste rendite, nessuno investirebbe in un pacchetto di debito europeo mutualizzato. Grazie poi al supporto implicito della BCE e del rating AAA della Commissione, le rendite non dovrebbero avere problemi ad attirare l’interesse del mercato.

In termini politici, le rendite potrebbero svolgere un ruolo critico nel mondo finanziario post-pandemia. Poiché non comporterebbero la mutualizzazione del debito esistente, opererebbero interamente a livello dell’UE e quindi non influirebbero sul debito di un paese o sui livelli di spesa. Inoltre, i Paesi del nord Europa non si assumerebbero la responsabilità del debito di quelli del Sud. Il finanziamento delle rendite sarebbe destinato a un piano strettamente europeo progettato per servire tutti gli interessi degli europei.

Le rendite non costerebbero un centesimo agli Stati membri dell’UE. Per evitare di utilizzare uno qualsiasi dei fondi che i Paesi attualmente pagano nel bilancio dell’UE, gli interessi sulle rendite verrebbero pagati con nuovi prelievi a livello UE sui grandi evasori fiscali.

Con le tasse sui servizi digitali e le materie plastiche non riciclate, insieme agli attuali ricavi dal mercato del carbonio (il sistema europeo di scambio di quote di emissioni), l’UE potrebbe raccogliere circa 26 miliardi di euro all’anno. Supponendo un tasso di interesse conservativo del 2,5%, ciò consentirebbe di prendere in prestito più di 1 trilione di euro. Di conseguenza, i contributi nazionali al bilancio dell’UE potrebbero essere congelati ai livelli attuali, evitando anni di contrattazione sul bilancio collettivo.


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